Il mistero dei giganti di Mont’e Prama

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I giganti di Mont’e Prama esposti al museo di CagliariSandali in pietra, una faretra, lunghe trecce scolpite intorno a un volto. È autunno ma in Sardegna non sbarcano solo turisti tardivi. Su una collina a pochi chilometri dal mare di Oristano c’è una squadra di archeologi e scienziati che sta portando alla luce scoperte straordinarie, capaci di richiamare studiosi da oltreoceano. Dalla terra continuano ad affiorare, dopo un sonno di 2800 anni, sacerdoti guerrieri alti più di due metri, pugilatori dagli occhi cerchiati, busti di arcieri, gambe di titani dai parastinchi intagliati. Ogni settimana emergono nuovi frammenti, nuove statue, enormi: non se ne trovano di simili in tutto il Mediterraneo. Fra il nono e l’ottavo secolo avanti Cristo, su questa collina chiamata Mont’e Prama, affacciata sulla laguna della muggine e della bottarga di Cabras, doveva sorgere qualcosa di grandioso. Una necropoli monumentale, senza pari. E la sua scoperta ora può riscrivere la storia dell’antico Occidente.
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Gli scavi, iniziati il 5 maggio 2014, restituiscono le orme di un popolo che non ha lasciato memoria scritta; ricompongono la fisionomia di una cultura che conosciamo solo dai resoconti dei nemici o da rovine scampate all’erosione. Dalla nebbia di una passato che i libri di scuola ci raccontano sempre e solo attraverso la guerra di Troia o le navigazioni dei Fenici, emerge una nuova, bistrattata, potenza commerciale e culturale. Quella dei nuragici. All’inizio dell’età del Ferro i sardi dovevano essere tanto ricchi e potenti da poter commissionare un “Heroon”, un monumento sepolcrale legato al culto di un eroe, più maestoso di ogni altro conosciuto per lo stesso periodo in Italia o sulle coste della Grecia. Per ammirare fasti simili bisogna spingersi fino al lontanissimo Oriente, oltre la Siria, in Iran o nell’area del Caucaso. Oppure restare qui. In questo angolo dimenticato di Sardegna, custode di un segreto che offre ancora più misteri che certezze.

 

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È questa necropoli eroica che l’università di Sassari e la soprintendenza di Cagliari e Oristano hanno ricominciato a scavare, sulla traccia di scoperte che risalgono a 35 anni fa. Nel1974, infatti,  grazie all’urto di un trattore contro il busto di u guerriero, gli archeologi trovarono una decina di tombe interrate, tolsero dalla terra i primi giganti, individuarono la strada che anticamente passava fra le statue. Dai cantieri degli anni ‘70 presero corpo 16 pugilatori, scolpiti con un piccolo pugnale nascosto nel guantone e un grosso scudo tenuto sulla testa; sei soldati, rappresentati frontalmente con una lancia al fianco e un elmo da cui spuntano due lunghe corna; e sei arcieri, con la faretra in spalla e l’arco in braccio. Insieme a loro emersero 13 betili (monoblocchi di pietra simili a menhir, alti qui fino a 2 metri e 30) e diversi modelli di nuraghe. Quindi il silenzio, per trent’anni, durante i quali i colossi di calcare sono stati restaurati, studiati ed ora esposti in due musei, a Cabras e a Cagliari.

I due sacerdoti gemelli ritrovati a settembre

I MAGHI GEMELLI
In primavera, grazie a fondi richiesti da anni ma arrivati solo ora, sono ripartite le ricerche. Che stanno non solo confermando, ma ingrandendo la portata dei rinvenimenti. Il 20 settembre sono apparse due statue gemelle. Una ha ancora la testa attaccata al busto: è l’unica. La grande novità è però nell’aspetto. Mentre ne parla,Raimondo Zucca, professore di archeologia all’Università di Sassari che aveva 25 anni quando ha scavato per la prima volta a Mont’e Prama, trasmette la stessa emozione che riflettono i diari degli antichi esploratori, quelli che entravano nella cripta intatta di un faraone o nella reggia sconosciuta di un imperatore. Gli ultimi giganti sarebbero due sacerdoti: hanno un grande scudo arrotolato intorno alla mano sinistra, la destra fasciata in un pugno. E sulla testa, sopra le trecce che ricordano quelle di Bob Marley, un copricapo a forma di cono. «È lo stesso cappello indossato da un bronzetto trovato nel corredo funebre di una principessa nuragica, sepolta a Vulci, nel Lazio, insieme al marito etrusco», racconta Zucca: «Come la miniatura, la statua di Mont’e Prama calza dei sandali, mentre le sculture ricostruite fino ad ora sono tutte a piedi nudi. La scoperta è straordinaria: abbiamo solo quattro esempi di figure con le scarpe fra i 600 piccoli bronzi nuragici arrivati fino a noi».
UNO SCAVO DA CSI
Per svelare il mistero, sono scesi in campo strumenti impensabili fino a poco fa. Dal 24 settembre, per un mese, è stata infatti attiva sullo scavo un’équipe di “bioarcheologi” diretta dal docente di microbiologia di Sassari Salvatore Rubino. Con tute bianche e mascherine da investigatori di Csi, i ricercatori-detective aprono le tombe; attenti a non contaminare nulla, estraggono campioni di Dna dalle ossa e dai denti dei cadaveri, oltre che dagli oggetti e dalle tracce organiche rimaste nella terra sigillata per millenni. «I risultati delle analisi ci potranno dire molte cose», racconta Rubino: «Oltre al sesso dei sepolti, ci permetteranno di sapere se avevano delle malattie, quali, di scoprire chi è entrato in questa tomba dopo di loro. Poi potremo studiare il legame genetico fra gli antichi sardi di Mont’e Prama e gli attuali abitanti dell’isola». Per seguire le indagini è arrivato apposta dal Canada un collega di Rubino, che non voleva perdere l’occasione di partecipare a un’esplorazione unica. «I nostri studi sono agli albori», commenta il docente: «Applicarli a una cultura scomparsa è un’occasione troppo affascinante per non esserci di persona». È grazie a questi strumenti che possiamo viaggiare nel tempo. E il percorso a ritroso, oggi, non restituirà più solo qualche bel frammento da ammirare in un museo. Ma permetterà di ricostruire una terra che non abbiamo potuto vedere. Di conoscere un popolo superando l’oblio imposto dai suoi nemici.

Fonte: L’espresso

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